«Credo di essere uno dei pochi meridionali che in due anni di permanenza a Milano è riuscito ad assimilare un po’ di meneghino» dice pronunciando alla perfezione alcune frasi in milanese. A parlare è colui che tutti considerano il «nonno d’Italia», complice l’aver interpretato il personaggio del nonno nella serie televisiva della Rai «Un medico in famiglia». All’anagrafe si chiama Pasquale Zagaria, nato ad Andria il 9 luglio 1936, ma tutti lo conoscono come Lino Banfi. E quel poco di meneghino che Banfi ha imparato nei due anni di permanenza a Milano – tra il 1954 e il 1955 – lo ha appreso vivendo per un certo periodo proprio a Baggio, per la precisione in via Barocco.
Lo ha raccontato lui stesso lo scorso 6 gennaio nella trasmissione televisiva di Raiuno “I soliti ignoti” abbinata alla Lotteria Italia, ricordando che per trovare un posto dove dormire dovette ingegnarsi cambiando sui documenti la nativa Andria (in Puglia) con Adria (cittadina veneta in provincia di Rovigo) e interpretando» una parlata veneta. «Del resto su un muro lungo la via Forze Armate verso l’ospedale militare c’era allora un cartello con scritto “non si affitta a meridionali”» ricorda Banfi che abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua abitazione romana.
«Ho un ricordo bello di quella zona, anche se non furono anni semplici» aggiunge. Gli chiediamo allora di raccontarci dove trovò alloggio al suo
arrivo a Milano all’età di 18 anni, fresco di studi e senza un mestiere in mano. «Furono degli amici che erano arrivati da qualche tempo a portarmi dove dormivano loro: era in una cascina in via Barocco.
Erano ex stalle risistemate per ospitare chi cercava un posto per la notte. Spazi divisi da teli stesi, una brandina. Si pagava in anticipo ogni notte».
Oggi quella cascina non esiste più, o meglio la struttura dell’ingresso è in via Fratelli Zoia, mentre l’aia e le altre costruzioni sono state abbattute e sostituite dai palazzi di via Bernstein.
«Dopo qualche tempo e con i primi soldi guadagnati da parcheggiatore abusivo in via Broletto – prosegue Banfi – sono riuscito ad affittare per un mese una stanza in un’abitazione nel primo portone
a destra entrando in via Barocco da via Forze Armate, presso il signor Farina».
Sul marciapiede di fronte «c’era un grande bar tabaccheria, con il bigliardo (che i residenti di allora chiamavano “Il Cellammare” dal nome del proprietario, ndr), dove noi immigrati venivamo ingaggiati dai caporali di allora.
Per un certo periodo feci il gettonista
cioè raccoglievo i gettoni del telefono che poi rivendevo a metà prezzo».
«Ricordo ancora che poco più avanti in via Barocco c’era anche un locale da ballo molto famoso in città (era la balera Le Maschere, oggi sostituita da alcuni negozi, ndr)».
Ma nonostante questi lavori «i soldi finirono e dovetti lasciare e mi ritrovai a dormire la notte nei vagoni dei treni fermi in Stazione Centrale».
Eppure la vita milanese di Banfi si incrociò ancora una volta con il nostro quartiere. «Ricordo che c’era un anziano senza tetto che si faceva chiamare “el barbun”. Ci indicava le carrozze più sicure.
Conosciuta la mia storia e il mio desiderio di diventare attore, una notte mi chiese: “Ti sei operato alle tonsille?”. Risposi di no, ma non capivo la domanda.
E lui continuò: “Vedi le tonsille non ti servono, potresti raccontare che ti fanno male, farti operare e per qualche giorno staresti in ospedale”.
Mi disse anche che dovevo presentarmi al pronto soccorso dell’ospedale militare (che allora si chiamava Anea ed era aperto anche ai civili, ndr) con la gola un po’ arrossata e mi diede una polverina che aveva realizzato frantumando magnesia, citrato e una pillola gialla con l’indicazione di chinino di Stato. “Metti questa polvere dentro un cappuccino caldo con tanto zucchero e poi vai all’ospedale” mi disse. Pensai di buttare via il tutto, ma alla mattina decisi di provare e infatti venni operato di tonsille all’ospedale militare di Baggio.
Però non avevo calcolato che dopo l’operazione non avrei potuto mangiare molto e addio forze.
Sì, ero al caldo, ma la fame…». E dopo qualche giorno il medico nel giro dei pazienti sentenzia la guarigione di Banfi. «Guardai fuori dalla finestra, nevicava e non avevo dove andare – ricorda –. Allora decisi di mettere in pratica una norma filosofica che mio padre Riccardo mi aveva consigliato: se ti trovi nei guai, racconta la verità. E così feci».
Il dottore rimase colpito dal mio racconto, dal fatto di essermi fatto operare alle tonsille senza averne bisogno e solo per un posto caldo dove stare e a sorpresa davanti a tutti sentenziò: “Zagaria resterà qui ancora una settimana in osservazione e per lui due pasti al giorno abbondanti”.
Seppi solo dire: evviva. In quella settimana non solo aiutai le suore nelle incombenze, ma mangiai moltissimo e ingrassai di almeno tre chili». Poi arrivò la cartolina per il servizio militare «e mi trovai per un anno e mezzo ad Arma di Taggia. Un altro periodo che ricordo con piacere».
Un racconto generoso quello che Lino Banfi ci ha voluto concedere, senza nascondere anche i momenti critici, a partire da quel cartello “non si affitta a meridionali”. «Spero che oggi più nessuno esponga simili cartelli, verso nessuno – ammonisce Banfi –. Del resto il tempo ha dimostrato che le persone arrivate dal Sud hanno aiutato lo sviluppo
del Nord».
Ma l’ultimo pensiero, l’attore pugliese lo vuole riservare ai giovani.
«Nei momenti brutti – racconta – mi sono sempre detto che sarei diventato un attore famoso e che avrei firmato autografi. Ho viaggiato con dei paraocchi che tenessero fisso il mio sguardo verso la meta, senza farmi distrarre. Ecco lo consiglio anche ai giovani di oggi: guardate dritti alla meta che vi siete prefissati. E ricordatevi: il Covid può far ammalare molti dei nostri organi, ma non può toccare l’organo dei sogni, del sognare il proprio futuro».
Un invito che Lino Banfi rivolge anche ai tanti giovani di Baggio.